ioGero e vi racconto!

Il mazzo di Pisciacani più bello di sempre!

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Un appuntamento è quella cosa che due o più persone si mettono d’accordo e poi succede. Quasi sempre c’è chi arriva un po’ prima e chi arriva un po’ dopo.
Io appartengo alla categoria di chi arriva quasi sempre un po’ prima e, lo confesso pubblicamente, provo una sottile invidia per quelli che arrivano sempre un po’ dopo e non si sentono in colpa.
Non succede quasi mai che i protagonisti di un appuntamento arrivano esattamente e contemporaneamente all’orario previsto.
Brutto è però quando fai di tutto per essere il più puntuale possibile all’appuntamento e, contro ogni tua volontà e intenzione, arrivi con venti giorni di anticipo. Una di quelle situazioni in cui tu ti rendi conto che manca ancora troppo tempo e vorresti fermarti ma c’è qualcosa più forte di te che ti spinge e ti fa arrivare venti giorni prima.
Finché si tratta di cinque, dieci minuti prima del previsto, vai al bar, prendi un caffè, paghi il parcheggio. Ma se arrivi venti giorni prima che fai? Quanti caffè ti prendi?
A Pisciacane tra l’altro neanche piace il caffè.
Pisciacane sarebbe dovuto arrivare il ventuno di marzo, giorno più, giorno meno.
Le mezze stagioni però, lo sappiamo tutti, non esistono più e considerate le temperature sempre più alte degli ultimi tempi, Piasciacane il ventinove di febbraio ha spaccato prima il catrame e poi il cemento del marciapiede a ridosso della pensilina dove fa capolinea il 65 a Milano, a piazza Abbiategrasso.
Lo ha fatto come fa tutti gli anni, affondando per bene le sue radici nella terra e sollevando il catrame e il cemento. Tutto con la forza dei suoi petali.
Succede poi che se arrivi cosi tanto in anticipo ad un appuntamento finisci sicuramente col dare nell’occhio a qualcuno e non farsi notare diventa praticamente impossibile, anche se sei un fiore alto poco più di sette centimetri e sei cresciuto ai piedi della pensilina di un capolinea dove di gente ne transita abbastanza. La stragrande maggioranza passa da lì una volta sola nella propria vita, al massimo un paio di volte e poi basta, ma c’è una piccola percentuale di quella gente che usufruisce della stessa pensilina del bus ogni giorno, a volte anche due volte in un giorno per tutti i giorni dell’anno. In questi casi, quando ci trascorri così tanto tempo, la pensilina diventa un po’ come un stanza supplementare di casa tue e se un Piasciacane sbuca fuori finisci per accorgertene. Anche perché un vero Piasciacane non cammina mai completamente da solo e se arriva lui, poi ne arriva subito un secondo, e un terzo e altri ancora. Quest’anno, lungo la crepa che corre sul cemento alla base della pensilina del 65, Piasciacane e i suoi soci sono arrivati con venti giorni di anticipo. A Febbraio quella spaccatura era solita riempirsi di pioggia che solitamente si ghiacciava o di neve, mentre quest’anno ci stanno già Piasciacane e company.
Una striscia di fiori verde e gialla, apparsa all’improvviso, è impossibile da non vedere. Se ne accorgono i pendolari più sbadati e i viaggiatori occasionali più attenti. Se ne accorgono i ragazzini della scuola di fronte che all’uscita ne staccano sempre un paio così da poterli ciucciare, masticare e sputare prima di arrivare a casa. Se ne accorgono i cani della zona, felici di trovare un nuovo tappetino sul quale fare la pipì.
Se ne accorge soprattutto Nadir, sette anni appena compiuti eppure già maturo abbastanza da capire che farsi troppe domande nella vita non serve poi così tanto.
Nadir infatti non se lo chiede come mai da diversi giorni, ogni mattina, in compagnia della sua mamma e del suo papà arrivano alla fermata del bus e stanno lì. Sino a sera.
La gente invece sì che se lo chiede.
Chi per curiosità e chi per cattiveria.
“Non ce l’hanno una casa questi qui?!”
Nadir ha imparato a non domandarselo se ha una casa e a fidarsi di sua mamma e di suo papà.
Tutti e tre aspettano qualcosa che potrebbe cambiargli la vita: i giorni corrono così veloci che si trasformano in settimane, nonostante il tempo pare rallentare sempre di più in quella situazione e ciascuno dei tre ha imparato ad aspettare in modo diverso. Nadir si muove in continuazione, esplora l’universo intorno al capolinea. Suo papà lo fa in piedi, al fianco della moglie dal quale non si allontana mai. Parla poco quell’uomo. Ma si tratta di quei silenzi che non serve aggiungere altro. Non sta mai seduto perché in piedi riesce sempre a tenere d’occhio Nadir e poi la tensione scivola via molto più facilmente quando stai in piedi. La donna sta seduta, tiene gli occhi serrati come chi sta pregando o esprimendo un desiderio. Cerca di risparmiare le forze per tutto quello che non sa ma che sicuramente verrà dopo. Stringe un telefono tra le mani. Più passano i giorni e più pare spremerlo quel telefono. Come a volerlo fare squillare con la forza anche se rischia di sbriciolarlo.

Un appuntamento è quella cosa che due o più persone si mettono d’accordo e poi succede. Esiste anche una categoria di appuntamenti un po’ più speciale.
A questa categoria appartengono gli appuntamenti involontari.
Un appuntamento involontario è quello che mi ha portato davanti alla pensilina nel preciso istante in cui ha cominciato a squillare il telefono stretto tra le mani della mamma di Nadir.
La donna ha risposto al telefono e, nonostante abbia usato una lingua a me sconosciuta, io l’ho capito benissimo che ha detto qualcosa tipo: “ti prego, dacci la notizia che stiamo aspettando”.
Poi è rimasta in silenzio, un silenzio così forte che tutta la piazza lo ha capito subito che la notizia, purtroppo, non era quella desiderata.
La mamma di Nadir aprì gli occhi. Dentro ci stavano delle lacrime grandi quanto il mare. Il papà di Nadir sentì tremare così forte le sue gambe da mancargli il fiato e, per la prima volta in vita sua, non si vergognò di aver paura neanche avanti agli occhi della moglie. L’ unica cosa che riuscì a fare fu sedersi al suo fianco.
Nadir nel frattempo aveva appena raccolto pure l’ultimo Piasciacane sbucato dal cemento. Li aveva staccati tutti con dolcezza.
Nadir non fa domande. Anche questa volta sa che deve fidarsi.
In mano tiene il mazzo di fiori strappati dal cemento più bello che si possa realizzare.
Lo ha preparato per sua mamma e per suo papà.

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