ioGero e vi racconto!

Donna Maria è una di quelle signorone che ti mettono sicurezza quando le guardi, figuriamoci se ti capita di averla: spalle larghe, merito del nuoto che ha praticato da giovane, alta più di 1 metro e settanta centimetri (anche se nella sua carta d’identità, da ragazza, c’era scritto 1.82), capelli bianchi come la neve pettinati sempre alla perfezione, un bastone nero col manico in vetro e infine, l’odore. Un odore di casa. Di quelli buoni, che ti scalda e ti riposa allo stesso tempo. Che se dovessero metterlo in produzione “Il profumo della Signora Maria” dovrebbero prendere tutti gli odori buoni di una casa e metterli insieme. Ma in che ordine? Prima l’odore del camino e poi quello del bucato appena steso o viceversa? E quali sarebbero le giuste proporzioni? Niente. Nessuno è mai riuscito a copiarlo l’odore della Signora Maria per metterlo dentro una bottiglietta di vetro. 

L’unico modo per sentirlo, quindi, è andarle vicino e trovare una scusa per attaccare bottone. Trovarla non è poi così difficile. Se vi trovate vicino Vicenza, fate finta di perdervi dalle parti di Camisano Vicentino. Due o tre giri del paese al massimo e la riconoscerete subito che cammina sul ciglio di una strada statale, non proprio adatta quindi alle passeggiate pedonali. Chiedetele qualsiasi informazioni, la prima che vi viene in mente, ma tanto è tutto inutile, lei vi punterà il bastone sulla bocca e col suo sguardo vi spiegherà che dovrete stare zitti. 

“Stia zitto, adesso parlo io” la Signora Maria dirà.

Voi state zitti, e annusate nel frattempo, altrimenti cosa siete andati a fare sino a lì? 

“Lei deve sapere che io ho fatto la maestra per 58 anni. Non voglio stare qui a dirle quanti ragazzini ho visto diventare adulti e quante soddisfazioni e gioie mi ha dato ciascuno di loro.”

Voi nel frattempo avrete sempre il bastone puntato sulla bocca chiusa. Ma tanto che vi frega. A voi servirà il naso in quel momento. E le orecchie a sto punto. Che la storia comincia a farsi interessante.

“Non voglio stare qui a dirle quante malattie esantematiche ho rischiato di prendere, quanti colori ho visto cambiare ai grembiuli e quanti bidelli e maestri mi hanno fatto la corte”

Respirate voi. Respirare ed ascoltate!

“Voglio stare qui per raccontarle soltanto l’errore più grande che ho fatto durante la mia carriera. Tutta colpa di un tema. Lo stesso che ogni fine anno assegnavo ai bimbi della terza: parla dello strumento che vorrai usare da grande. E le risposte erano sempre quelle. Quasi sempre maschietti scrivevano di trattori e motori a saldatori e quasi sempre  le femminucce mi descrivevano macchine da cucire e cucine. C’era anche qualcuno più sognatore e stravagante che mi parlava di microfoni e telescopi. E io non potevo che essere contenta. Più curiosi sono i bambini e più felice deve essere una maestra. Vuol dire che bene sta lavorando. Fino a quando arrivò l’errore. Colpa di Simone. Anzi colpa mia. “Io da grande nel mio lavoro voglio usare l’ossigeno. Perché l’ossigeno è la cosa più importante che abbiamo. Però non so ancora cosa farò. Le prometto che userò l’ossigeno”.

E io gli misi 2. Che un fulmine mi fulmini. Va bene essere sognatori e stravaganti, pensavo in quel momento, ma quella quantità di libertà pronta ad esplodere da un momento all’altro mi metteva paura. E gli misi 2. Se lei dovesse avere dei fulmini a portata di mano la prego di fulminarmi! Adesso.

Lo vuole sapere dove vado ogni mattina e dove sto andando anche oggi?”

Ecco, qui non fate l’errore di dire in chiesa. Continuate a stare zitti e respirate.

“Sto andando a trovare Simone. Io vado lì, mi metto in un angolino e lui lavora. Parla poco Simone. Le sue mani invece parlano tutto il tempo. E c’è una cosa che io non avevo ancora capito mentre correggevo il suo tema: nessuna fiamma si accende senza ossigeno”.


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