“Guarda che bel maschione!
Come si chiama?”
Colto di sorpresa e totalmente impreparato a ricevere certi complimenti da parte di una donna, verifico al volo di essere in condizioni presentabili: non ho macchie di dentifricio sulla faccia, la maglia è priva di vistosi rigurgiti e la cerniera dei pantaloni sta a posto. Quindi mi lancio “Salve, che donna gentile. Mi chiamo Ger.. .”
“Ma chi se ne frega di lei”. La donna mi interrompe così veloce che sembra un fulmine quando spezza il buio.
“Parlo di lui” prosegue indicando Andrea.
“Andrea. Si chiama Andrea” rispondo io come un cane quando ha la coda in mezzo alle gambe.
“Finalmente. Avevamo tanto bisogno di bimbi in questo quartiere.”
Queste le battute che, un mese fa, hanno celebrato il primo incontro tra me, Andrea e la Signora Teresa, 85 anni.
Battute sempre uguali, precise e puntuali come gli ingranaggi di un orologio svizzero, scambiate ogni mattina davanti la prima panchina del parchetto a fianco casa.
C’è da dire che inizialmente non avevo dato tanto peso a questo “ripetersi”.
Il secondo giorno infatti ho pensato ad un tipico mio dejavu, mentre la terza mattina ho spinto sull’acceleratore del passeggino spiegando ad Andrea che mica possiam star qui a perder tempo con le rimbambite.
La quarta mattina, appena la Signora Teresa ha aperto la bocca, ho piantato il freno e nel preciso istante in cui stavo per chiederle se mi stesse prendendo in giro mi accorgo che al suo fianco c’è una ragazza, sui quarant’anni. La ragazza era al fianco della signora Teresa anche nei tre giorni precedenti ma io la sto vedendo soltanto adesso. È lei che questa volta mi interrompe, quando sto per iniziare a parlare: “Signora finiti memoria. Dimentica tuti cosa”. E cosi abbiamo conosciuto pure Evelina, che da 2 anni vive in Italia e accudisce la signora Teresa.
“Come ha finito la memoria? In che senso” chiedo io ad Evelina, guardando la Signora Teresa.
“Dimentichi” lei mi fa. “La signora dimentichi e tutto novo sempri”.
Ho ripensato alle frasi di Evelina durante la mezz’ora d’altalena mattutina di Andrea e sono arrivato alla seguente conclusione: visto che per lei ogni mattina è tutto nuovo, deve esserlo anche per noi. Andrea è bravissimo a fingere, io certe mattine recito molto bene, altre così così. Questa mattina, mentre stavamo per uscire di casa, sentiamo la voce di Evelina provenire da fuori. Corro in balcone e vedo Evelina agitarsi ma nessuna traccia della signora Teresa. Ci precipitiamo per strada ed Evelina col fiatone ci corre incontro: “Signora Tresa, sparuta, era qui ora non più qui, dove? Dove? Dove?” e torna a correre urlando il nome di Teresa. Andrea mi guarda e mi fa un cenno come a dire: fidati del mio fiuto, andiamo. Andiamo al parco e in sei muniti Andrea trova la signora Teresa. Eccola. Ci fa cenno di avvicinarci e di sederci al suo fianco. “Andrea si chiama lui.. ” faccio io per rompere il ghiaccio.
“Coglione lo so” mi fulmina lei guardandomi fisso negli occhi. Non molla il mio sguardo neanche un istante e non riesco a staccarmi dalle sue pupille color ghiaccio.
“Vedi, i ricordi dentro la mia memoria si comportano come le piume dentro un cuscino. Tu hai mai giocato con un cuscino? Hai mai fatto una battaglia di cuscini? Hai mai provato l’emozione di farne esplodere uno e veder volare tutte le piume che c’erano dentro? Perché mi hai dato della rimbambita? ”
Io, imbarazzatissimo, provo a mettere insieme due parole ma all’improvviso lei molla il mio sguardo e io perdo il suo. All’improvviso guarda me e Andrea come se fossimo appena arrivati.
“Guarda che bel maschione!
Come si chiama?” dice lei.
Ed io questa volta recito come il premio Oscar miglior premio Oscar di sempre: “Salve, che donna gentile. Mi chiamo Ger.. .”
“Ma chi se ne frega di lei. Parlo di lui” prosegue indicando Andrea.
“Andrea. Si chiama Andrea.”
“Finalmente. Avevamo tanto bisogno di bimbi in questo quartiere.”
E tutte le foglie cadute dagli alberi in queste settimane, di colpo, si trasformano in piume e cominciano a svolazzare per il parco.
