Avevo promesso di scrivere qualcosa su di loro prima o poi. Magari alla prima ora completamente libera e spensierata, così da poter “ripercorrere” al meglio quel pomeriggio.
Son passati più di due mesi. Io quest’ora non l’ho mai trovata e allora facciamo che è adesso.
Vi presento Umberto e Josè. Da sinistra a destra: Umberto e Josè.
Per fortuna i loro nomi sono semplici e scriverveli è poco impegnativo. Un casino, invece, è farvi entrare in questa storia.
Intanto perché ho un problema di coordinamento e non riesco a raccontare qualcosa di importante e camminare contemporaneamente. Se siete d’accordo ci sediamo quindi in questa taverna e prendiamo una birra. Piccola. Bella fresca però.
Ci accomodiamo fuori che dentro fa caldo e comunque non c’è neanche posto visto che l’unico tavolo della taverna è già occupato dal gigantesco televisore a tubo catodico, sintonizzato sulle gare di nuoto sincronizzato delle olimpiadi. Cioè, quando si vedono le manda. Quando non si vedono, niente ci fa.
Fuori non è male, c’è l’ombra e uno dei due tavolini è libero. Seduti all’altro tavolino ci stanno due tipi. Sembrano del posto. Il numero di bottiglie già aperte sul tavolo supera gli abitanti di Tavira e ancora non sono neanche le 6 di pomeriggio. Sì, sono del posto. Vabbè, ci sediamo all’altro noi.
C’è chi dice che la birra è come uno psicologo: ti sta accanto per un po’ e ti ti senti subito meglio. C’è chi dice che la birra è pericolosa e puoi avere le allucinazioni.
Umberto si alza, è un gigante. Un gigante di quelli grandi. Gigantissimo. Ha la pancia che scappa dalla canottiera. Povera canottiera, quanti sforzi. Viene verso di noi, più si avvicina e più trema il mondo, alza il braccio e scaraventa il suo “atum” sul nostro tavolino. Ci attacca subito così: “Atum seco!”.
Tonno essiccato, disidratato.
Neanche il tempo di riprendere conoscenza che sferra un sorriso. Un sorriso che gli affonda tra le guance, un sorriso buffo e contagioso.
La prima vittima del contagio è Josè, suo compare dall’orecchio tagliato. Sempre complice del gigante, anche oggi, è pronto a mollare il secondo colpo.
“Cerveza!”
Proviamo a rispondere all’attacco.
“Pequena”.
Stiamo per crollare.
Sorridono ad unisono.
Crollati!
Sono più sincronizzati degli atleti che la tv prova inutilmente a trasmettere. E mica è guasta la tv. La tv si rifiuta perché la vera medaglia d’oro di vita sincronizzata sono loro: Umberto e Josè, che adesso non li ferma più nessuno.
Siamo in pieno attacco.
Sorrisi, racconti e cerveze… sbem!
“Tavira è pequena mas um mundo”
Occhi grandi, aneddoti e frasi incomprese… sbebèm!
“Escreveu o meu número?”
Il numero di un gigante può tornare sempre utile. Riusciamo a scriverlo anche se l’attacco si fa sempre più intenso.
Dediche sulla guida, discorsi fatti a gesti e… cerveze… sbammete!
“Escreveu o meu número?”
Lo scriviamo di nuovo, mai fare arrabbiare un gigante.
Inviti a cena, foto ricordo e abbracci…
“Tavira è pequena mas um mundo, e se você vem in Tavira vou dormir na minha casa”
Ed è così che ci stendono. Adesso siamo ufficialmente KO, vittime di uno dei pomeriggi più belli delle nostre vite. I vincitori sono Umberto e Josè, da Tavira. Tavira è piccola, fantastica e tra le sue vie si nasconde probabilmente un mondo, ma l’universo che muovono Umberto e Josè è infinitamente più grande dell’universo di cui loro stessi fanno parte.
Grazie Umberto, Grazie Josè.
A presto.